Una calda mattina di Agosto mio figlio, ormai grande, mentre facevamo colazione, mi ha chiesto: “Perché tutto il cibo che non fa troppo bene piace così tanto?”
Biscotti, cioccolato, merendine, bevande gasate, snack, carne, salumi… Tutti cibi che i bambini, i giovani, e non solo, amano e mangiano anche quando non hanno fame (o non rifiutano mai).
Per fortuna non è esattamente così: o meglio non è (sempre) l’alimento in sé a essere “cattivo” ma la qualità e la quantità che ne ingeriamo e soprattutto, se, in base all’età, al peso e allo stile di vita, abbiamo davvero bisogno di tutti i nutrienti che contiene.
Uno dei primi problemi, infatti, riguarda la facilità con cui oggi abbiamo accesso al cibo: tutti, sia da piccoli sia da grandi, tendiamo a comportamenti compulsivi: nel mondo occidentale non si mangia più perché si ha la pancia vuota. Spesso mangiamo a seconda dello stato d’animo: per allegria, noia, tristezza, abitudine. C’è poi una valenza del cibo-come socializzazione e relazione. La prova è che, come lamentano le mamme allarmate, ci sono sempre più bambini che non mangiano. E la ragione è molto semplice:
tendiamo a offrire loro troppo cibo (e troppo facilmente) rispetto alle reali necessità di un organismo in crescita.
Il modo di nutrirsi più o meno sano, però, dipende in buona parte dal Gusto.
Perché ci sono bambini che adorano la frutta, mangiano volentieri la verdura e prediligono i sapori semplici, non troppo elaborati? Mentre altri vivrebbero solo a pasta, pane, biscotti e intingoli vari e se vedono una foglia di insalata fanno i capricci?
È evidente che il primo compito educativo dei neo-genitori riguarda proprio il gusto del loro bambino.
Allora, il gusto del neonato si forma con un lungo percorso che ha inizio in utero, prosegue poi con il latte materno e si potenzia e modifica nel tempo grazie all’interazione di diversi fattori: innati, educativi ed ambientali.
Tra i nostri cinque sensi, il gusto è quello che, con l’olfatto, entra in gioco subito dopo la nascita, esattamente a partire dal “primo pasto”. Si tratta di un senso molto importante perché permette anche a un neonato di rifiutare un sapore “cattivo” (amaro, per il suo cervello: velenoso) da uno buono (dolce) e, quindi, sano.
Per farlo, il gusto si fa aiutare da questi altri “cinque sensi”: amaro, dolce, acido, salato ed umami. Ciascuno è come una piccola arma di sopravvivenza, che poco ha a che fare con i piaceri della buona tavola. Individuare l’amaro, per esempio, in natura permette di riconoscere potenziali sostanze velenose; il “senso dell’acido” invece tiene alla larga dagli alimenti avariati, mentre a quello del dolce va il merito di individuare al primo morso i cibi più energetici, quindi utili per muoversi, essere attivi. Ci sono poi il gusto salato, che ci guida all’assunzione di sodio e di altri ioni preziosi per il mantenimento del nostro equilibrio idrosalino, e il meno conosciuto umami. Si chiama così la facoltà di “riconoscere” il glutammato monosodico, un aminoacido particolarmente presente negli alimenti ricchi di proteine come carni e formaggi stagionati.
Se vi sembra abbastanza, sappiate che è stato da poco scoperto una sorta di “sesto senso” del gusto: all’interno dei bottoni gustativi (si chiamano così i 9.000 recettori che abbiamo sulla lingua e nella mucosa della faringe e dell’epiglottide) sono attivissimi anche dei “radar” capaci di percepire le molecole di grasso. Il vostro piccolo bambino, dunque, viene al mondo con questo complesso e raffinatissimo corredo di sensori. Ancora vergini, naturalmente. Ma, dalla prima poppata in poi, entreranno pienamente in funzione, creando la prima impronta mnemonica del gusto. Quella che condizionerà tutta la sua futura vita alimentare. Vedremo più avanti come si fa ad abituare i bambini a mangiare la verdura, argomento che ho trattato ampiamente nel mio ultimo libro “La dieta dei primi 1000 giorni”, edito da Mondadori.